… ma allora era troppo tardi
Diceva un mio collega filologo:
Quello che nessuno sembrava notare era il divario sempre più ampio, dopo il ***, tra il governo e il popolo. Pensate solo a quanto era ampio questo divario all’inizio, qui in ***. Ed è diventato sempre più ampio. Sapete, non rende le persone vicine al loro governo sentirsi dire che questo è un governo del popolo, una vera democrazia, o essere arruolati nella difesa civile, o anche votare. Tutto questo ha poco, davvero niente, a che vedere con il sapere che si sta governando.
Ciò che accadde qui fu la graduale assuefazione del popolo, a poco a poco, ad essere governato di sorpresa; a ricevere decisioni deliberate in segreto; a credere che la situazione era così complicata che il governo doveva agire su informazioni che il popolo non poteva capire, o così pericolose che, anche se il popolo non poteva capirle, non potevano essere divulgate per la sicurezza nazionale. E il loro senso di identificazione con ***, la loro fiducia in lui, rendeva più facile allargare questo divario e rassicurava coloro che altrimenti si sarebbero preoccupati.
Questa separazione del governo dal popolo, questo allargamento del divario, avvenne così gradualmente e così insensibilmente, ogni passo mascherato (forse nemmeno intenzionalmente) come una misura temporanea di emergenza o associato a una vera fedeltà patriottica o a reali scopi sociali. E tutte le crisi e le riforme (anche quelle vere) occupavano così tanto il popolo che non vedeva il lento movimento sottostante, dell’intero processo di governo che si allontanava sempre di più.
Mi capirete quando dico che il mio impegno accademico era la mia vita. Era l’unica cosa che mi interessava. Ero uno studioso, uno specialista. Poi, improvvisamente, fui immerso in tutta la nuova attività, come l’università fu trascinata nella nuova situazione; riunioni, conferenze, interviste, cerimonie, e, soprattutto, carte da compilare, relazioni, bibliografie, liste, questionari. E in più c’erano le richieste della comunità, le cose a cui si doveva, ci si ‘aspettava‘ di partecipare che prima non c’erano o non erano state importanti. Era tutta una trafila, certo, ma consumava tutte le energie, venendo a sommarsi al lavoro che si voleva veramente fare. Puoi capire come era facile, allora, non pensare alle cose fondamentali. Non si aveva tempo.
“Queste“, dissi, “sono le parole del mio amico panettiere. Non c’era tempo per pensare. C’era così tanto da fare“. Il mio collega disse:
Il tuo amico panettiere aveva ragione. La dittatura, e tutto il processo della sua nascita, era soprattutto un diversivo. Ha fornito una scusa per non pensare a persone che non volevano comunque pensare. Non parlo dei vostri ‘omini‘, del vostro panettiere e così via; parlo dei miei colleghi e di me, uomini colti, badate. La maggior parte di noi non voleva pensare alle cose fondamentali e non l’ha mai fatto. Non ce n’era bisogno. Il *** ci ha dato alcune cose terribili e fondamentali a cui pensare – eravamo persone rispettabili – e ci ha tenuti così occupati con continui cambiamenti e ‘crisi‘ e così affascinati, sì, affascinati, dalle macchinazioni dei ‘nemici nazionali‘, fuori e dentro, che non avevamo tempo per pensare a queste cose terribili che stavano crescendo, poco a poco, intorno a noi. Inconsciamente, suppongo, eravamo grati. Chi vuole pensare?
Vivere in questo processo è assolutamente non essere in grado di notarlo – provate a credermi – a meno che uno non abbia un grado di consapevolezza politica, di acutezza, molto maggiore di quanto la maggior parte di noi abbia mai avuto occasione di sviluppare. Ogni passo era così piccolo, così irrilevante, così ben spiegato o, a volte, “deplorato“, che, a meno che uno non fosse distaccato dall’intero processo fin dall’inizio, a meno che uno non capisse che cosa fosse l’intera faccenda in linea di principio, a cosa tutte queste “piccole misure” che nessun “*** patriottico” poteva risentire dovevano portare un giorno, uno non lo vedeva svilupparsi di giorno in giorno più di quanto un contadino nel suo campo veda crescere il grano. Un giorno è sopra la sua testa.
Come si può evitare questo, tra gli uomini comuni, anche tra gli uomini comuni altamente istruiti? Francamente non lo so. Non vedo, nemmeno ora. Molte, molte volte da quando è successo tutto questo ho riflettuto su quella coppia di grandi massime, Principiis obsta e Finem respice – ‘Resistere agli inizi‘ e ‘Considerare la fine‘. Ma bisogna prevedere la fine per resistere, o addirittura vedere, gli inizi. Bisogna prevedere la fine in modo chiaro e certo, e come può farlo un uomo comune o anche un uomo straordinario? Le cose potrebbero. E tutti contano su questo potrebbero.
I vostri “piccoli uomini“, i vostri amici ***, non erano contro il *** per principio. Gli uomini come me, che lo erano, sono i maggiori trasgressori, non perché sapevamo meglio (sarebbe troppo da dire) ma perché sentivamo meglio. Il pastore *** parlava per migliaia e migliaia di uomini come me quando parlava (troppo modestamente di se stesso) e diceva che, quando i *** attaccavano i ***, lui era un po’ a disagio, ma, dopo tutto, non era un ***, e così non faceva nulla; e poi attaccavano i ***, e lui era un po’ più a disagio, ma, ancora, non era un ***, e non faceva nulla; e poi le scuole, la stampa, gli ***, e così via, e lui era sempre più a disagio, ma ancora non faceva nulla. E poi hanno attaccato la Chiesa, e lui era un uomo di Chiesa, e ha fatto qualcosa – ma allora era troppo tardi.
“Sì”, risposi. Continuò il mio collega:
Vede, non si vede esattamente dove o come muoversi. Mi creda, questo è vero. Ogni atto, ogni occasione, è peggiore della precedente, ma solo un po’ peggiore. Si aspetta il prossimo e il prossimo. Aspettate una grande occasione scioccante, pensando che gli altri, quando arriverà un tale shock, si uniranno a voi per resistere in qualche modo. Non vuoi agire, e nemmeno parlare, da solo; non vuoi “andare fuori strada per creare problemi“. Perché no? Beh, non hai l’abitudine di farlo. E non è solo la paura, la paura di stare da soli, che ti trattiene; è anche una vera incertezza.
L’incertezza è un fattore molto importante e, invece di diminuire con il passare del tempo, cresce. Fuori, nelle strade, nella comunità generale, ‘tutti‘ sono felici. Non si sente nessuna protesta, e certamente non se ne vede nessuna. Sai, in *** o in *** ci sarebbero slogan contro il governo dipinti sui muri e sui recinti; qui in ***, fuori dalle grandi città, forse, non c’è nemmeno questo. Nella comunità universitaria, nella tua comunità, parli in privato con i tuoi colleghi, alcuni dei quali certamente la pensano come te; ma cosa ti dicono? Dicono: ‘Non è così male‘ o ‘Stai vedendo cose‘ o ‘Sei un allarmista‘.
E tu sei un allarmista. Stai dicendo che questo deve portare a questo, e non puoi provarlo. Questi sono gli inizi, sì; ma come si fa a saperlo con certezza quando non si conosce la fine, e come si fa a sapere, o anche a supporre, la fine? Da un lato, i tuoi nemici, la legge, il regime, il partito, ti intimidiscono. Dall’altro, i tuoi colleghi ti trattano da pessimista o addirittura da nevrotico. Ti restano i tuoi amici più stretti, che sono, naturalmente, persone che hanno sempre pensato come te.
Ma i tuoi amici sono meno numerosi ora. Alcuni si sono allontanati da qualche parte o si sono immersi nel loro lavoro. Non ne vedi più tanti come prima alle riunioni o agli incontri. I gruppi informali diventano più piccoli; la partecipazione cala nelle piccole organizzazioni, e le organizzazioni stesse appassiscono. Ora, nelle piccole riunioni dei vostri più vecchi amici, sentite che state parlando a voi stessi, che siete isolati dalla realtà delle cose. Questo indebolisce ancora di più la vostra fiducia e serve come ulteriore deterrente a cosa? È sempre più chiaro che, se avete intenzione di fare qualcosa, dovete creare un’occasione per farla, e allora siete ovviamente un piantagrane. Così si aspetta, e si aspetta.
Ma l’unica grande occasione sconvolgente, quando decine o centinaia o migliaia si uniranno a te, non arriva mai. Questa è la difficoltà. Se l’ultimo e peggiore atto di tutto il regime fosse venuto immediatamente dopo il primo e il più piccolo, migliaia, sì, milioni sarebbero stati sufficientemente scioccati – se, diciamo, la ***zione degli *** nel ‘** fosse venuta immediatamente dopo gli adesivi ‘*** ‘ sulle vetrine dei negozi non *** nel ‘**. Ma naturalmente non è così che succede. In mezzo ci sono tutte le centinaia di piccoli passi, alcuni dei quali impercettibili, ognuno dei quali ti prepara a non essere scioccato dal successivo. Il passo C non è tanto peggiore del passo B, e, se non hai preso posizione al passo B, perché dovresti farlo al passo C? E così via fino al passo D.
E un giorno, troppo tardi, i tuoi principi, se ne sei mai stato consapevole, ti piombano addosso. Il peso dell’auto-inganno è diventato troppo pesante, e qualche piccolo incidente, nel mio caso il mio bambino, poco più che un neonato, che dice ‘porco ***‘, lo fa crollare tutto in una volta, e tu vedi che tutto, tutto, è cambiato e cambiato completamente sotto il tuo naso. Il mondo in cui vivi – la tua nazione, il tuo popolo – non è affatto il mondo in cui sei nato. Le forme sono tutte lì, tutte intatte, tutte rassicuranti, le case, i negozi, i lavori, i pasti, le visite, i concerti, il cinema, le vacanze. Ma lo spirito, che non hai mai notato perché hai commesso l’errore di tutta la vita di identificarlo con le forme, è cambiato. Ora vivete in un mondo di odio e paura, e le persone che odiano e temono non lo sanno nemmeno loro; quando tutti si trasformano, nessuno si trasforma. Ora vivete in un sistema che governa senza responsabilità nemmeno verso Dio. Il sistema stesso non poteva intendere questo all’inizio, ma per sostenersi è stato costretto ad andare fino in fondo.
Tu stesso hai fatto quasi tutta la strada. La vita è un processo continuo, un flusso, non è affatto una successione di atti ed eventi. È fluita verso un nuovo livello, portandoti con sé, senza alcuno sforzo da parte tua. Su questo nuovo livello vivete, avete vissuto ogni giorno più comodamente, con una nuova morale, nuovi principi. Hai accettato cose che non avresti accettato cinque anni fa, un anno fa, cose che tuo padre, anche in ***, non avrebbe potuto immaginare.
All’improvviso tutto viene giù, tutto in una volta. Vedi quello che sei, quello che hai fatto, o, più precisamente, quello che non hai fatto (perché questo era tutto quello che era richiesto alla maggior parte di noi: che non facessimo nulla). Ti ricordi le prime riunioni del tuo dipartimento all’università quando, se uno si fosse alzato, altri si sarebbero alzati, forse, ma nessuno si è alzato. Una piccola questione, una questione di assumere quest’uomo o quello, e si assumeva questo piuttosto che quello. Ora ti ricordi tutto e ti si spezza il cuore. Troppo tardi. Sei compromesso in modo irreparabile.
Che cosa allora? Devi allora spararti. Alcuni l’hanno fatto. O ‘aggiustare‘ i tuoi principi. Molti ci hanno provato, e alcuni, suppongo, ci sono riusciti; io no, però. O imparare a vivere il resto della tua vita con la tua vergogna. Quest’ultima è la cosa più vicina all’eroismo, date le circostanze: la vergogna. Molti *** sono diventati questo povero tipo di eroe, molti di più, credo, di quanto il mondo sappia o si preoccupi di sapere.
Non dissi nulla. Non pensavo a niente da dire. Il mio collega continuò:
Posso raccontarvi di un uomo a ***, un giudice. Non era un ***, se non nominalmente, ma certamente non era un anti***. Era solo un giudice. Nel ‘** o ‘**, all’inizio del ‘**, credo fosse, un *** fu processato davanti a lui in un caso che riguardava, ma solo incidentalmente, relazioni con una donna ‘***‘. Questo era un “danno alla ***“, qualcosa che il partito era particolarmente ansioso di punire. Nel caso in questione, tuttavia, il giudice aveva il potere di condannare l’uomo per un reato “non ***” e mandarlo in una prigione ordinaria per un periodo molto lungo, salvandolo così dal “trattamento” del Partito che avrebbe significato *** o, più probabilmente, *** e ***. Ma l’uomo era innocente dell’accusa “non ***“, secondo il giudice, e così, da giudice onorevole, lo ha assolto. Naturalmente, il Partito ha sequestrato l’*** non appena ha lasciato l’aula.
“E il giudice?”
Sì, il giudice. Non riusciva a togliersi il caso dalla coscienza, un caso, badi bene, in cui aveva assolto un innocente. Pensava che avrebbe dovuto condannarlo e salvarlo dal Partito, ma come avrebbe potuto condannare un innocente? La cosa lo tormentava sempre di più, e dovette parlarne, prima alla sua famiglia, poi ai suoi amici, e poi ai conoscenti. (È così che l’ho saputo.) Dopo il *** del ‘** l’hanno arrestato. Dopo quello, non lo so.
Non dissi nulla. Il mio collega continuò:
Una volta iniziata la guerra la resistenza, la protesta, la critica, la denuncia, portavano tutte con sé una probabilità moltiplicata della massima punizione. La semplice mancanza di entusiasmo, o l’incapacità di mostrarlo in pubblico, era ‘disfattismo‘. Si presumeva che ci fossero liste di coloro che sarebbero stati ‘trattati‘ più tardi, dopo la vittoria. Anche qui *** era molto intelligente. Prometteva continuamente un'”orgia della vittoria” per “occuparsi” di coloro che pensavano che il loro “atteggiamento traditore” fosse sfuggito. E diceva sul serio; non era solo propaganda. E questo fu sufficiente per mettere fine a tutte le incertezze.
Una volta iniziata la guerra, il governo poteva fare qualsiasi cosa ‘necessaria‘ per vincerla; così è stato per la ‘soluzione finale del problema ***‘, di cui i *** hanno sempre parlato ma che non hanno mai osato intraprendere, nemmeno i ***, finché la guerra e le sue ‘necessità‘ hanno dato loro la consapevolezza di poterla fare franca. Le persone all’estero che pensavano che la guerra contro *** avrebbe aiutato gli *** si sbagliavano. E le persone in *** che, una volta iniziata la guerra, pensavano ancora di lamentarsi, protestare, resistere, scommettevano sul fatto che la *** avrebbe perso la guerra. Era una grande scommessa. Non molti la fecero.